Introduzione | Il cristallino | I vari tipi di cataratta
Quando sottoporsi all'intervento
Come viene eseguito l'intervento di cataratta ?
Cosa accade in realtà al paziente ?
Quali sono le possibili complicanze ?

INTRODUZIONE
La cataratta rappresenta una delle cause più comuni di calo della acuità visiva.
Essa consiste nell'opacamento del cristallino (vedi appresso). Tende a comparire con maggiore frequenza con l'avanzare degli anni, fino ad essere presente nella maggior parte degli individui anziani.
La cura della cataratta mediante terapia farmacologica è ancora in fase di studio, e le terapie finora proposte hanno dato risultati globalmente insoddisfacenti.
l'unico mezzo veramente efficace per risolvere oggi il problema della cataratta è il ricorso alla chirurgia.
Fortunatamente, in campo chirurgico la scienza medica ha compiuto negli ultimi anni passi da gigante; sottoporsi ad intervento di cataratta è oggi diventato per il paziente una esperienza rapida, sicura, con una riabilitazione visiva pressoché immediata e per nulla traumatico in quanto il tutto si svolge in anestesia locale.
Prima di passare a descrivere i principali tipi di intervento, però, è opportuno spiegare come è fatto il cristallino, le sue funzioni ed i idiversi tipi di cataratta.
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IL CRISTALLINO
Il cristallino ha la forma di una lente biconvessa di consistenza elastica. E' situato subito dietro l'iride e collegato tramite una minuscola rete di fibrille (che nel loro complesso vengono chiamate "Zonula dello Zinn") con il Corpo ciliare, una struttura che tra l'altro agisce come un muscolo.
Infatti, il corpo ciliare può, esercitando una trazione sulla zonula, modificare la forma del cristallino, cioè renderlo più o meno curvo. Questa variazione di curvatura si traduce in una variazione del suo potere ottico, così da potere mettere "a fuoco" sulla retina immagini provenienti da vicino o da lontano.
Il fenomeno viene chiamato Accomodazione.
E' la diminuzione dell'elasticità del cristallino con l'età, e quindi la graduale riduzione di questo fenomeno, a generare il problema della presbiopia.
Il cristallino, la cui struttura microscopica può essere grossolanamente paragonata a quella di una cipolla, può essere diviso in varie "zone".
Le più importanti sono, dall'esterno verso l'interno, la capsula, la corteccia, il nucleo.
Ognuna di queste zone può essere sede di opacità; vedremo in seguito che uno dei tipi di classificazione più usati per la cataratta è basato proprio sulla distribuzione delle opacità nelle varie zone.
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I VARI TIPI DI CATARATTA
Col tempo, la struttura del cristallino tende a variare, per cause ancora in parte imprecisate, perdendo la trasparenza. Quando tale perdita di trasparenza arriva al punto di diventare grossolanamente visibile o di dare un calo della vista, si parla di CATARATTA.
Questo processo in genere è lento nella sua insorgenza e nella sua progressione.
E' opportuno dire che una cataratta può però anche insorgere, in alcuni casi, in maniera rapida. Ciò avviene per lo più dopo traumi, malattie metaboliche, uso di farmaci (soprattutto cortisone), ed esposizione a radiazioni.
Una cataratta può essere presente anche nei bambini, talvolta anche nei neonati, in genere a seguito di malformazioni od anomalie genetiche.
Come detto in precedenza, la partecipazione delle varie zone del cristallino al formarsi delle opacità è un fenomeno che viene sfruttato per un tipo di classificazione.
Distingueremo quindi:
- Cataratta nucleare se è coinvolto principalmente il nucleo del cristallino;
- Cataratta corticale se è coinvolta principalmente la corteccia del cristallino;
- Cataratta sottocapsulare, soprattutto posteriore, se è coinvolta principalmente la capsula.
Esistono ovviamente forme miste, come ad esempio la cataratta cortico-nucleare e la cataratta totale.
Questa distinzione in vari tipi non è solo accademica: i disturbi visivi e (molto relativamente) le difficoltà tecniche legate all'intervento sono legate infatti al tipo di cataratta.
Senza entrare in disquisizioni troppo tecniche, basti dire per esempio che i soggetti con cataratta prevalentemente nucleare vedono in genere meglio la sera, quando col buio la pupilla si dilata e i raggi riescono a passare per la zona periferica del cristallino, più trasparente.
Ai soggetti con cataratta corticale capita esattamente il contrario: vedono meglio di giorno quando, con la luce, la pupilla ristretta lascia passare i raggi luminosi solo per il centro del cristallino, più trasparente della periferia. Esistono ovviamente infinite forme intermedie.
Anche la messa a fuoco del cristallino risente delle modificazioni indotte dalla cataratta. Infatti, con l'aumento delle opacità del cristallino aumenta anche il suo indice di refrazione, cioè il suo potere come lente. A seconda delle zone del cristallino prevalentemente interessate, esso può aumentare o diminuire il suo potere diottrico.
In genere (ma è solo una esemplificazione), i soggetti con cataratta nucleare tendono a diventare più miopi (o meno ipermetropi), quelli con cataratta prevalentemente corticale a diventare più ipermetropi (o meno miopi).
Un discorso a parte merita la cataratta sottocapsulare posteriore, che può insorgere naturalmente ma anche in seguito alla assunzione di farmaci (ad es. cortisonici), od a malattie oculari. Tale cataratta insorge in un punto del cristallino molto importante, il punto nodale, dove convergono tutti i raggi luminosi provenienti dall'esterno prima di proiettarsi sulla retina.
E' intuitivo capire che anche una piccola opacità in questo punto crea grossi disturbi visivi, perchè interessa pressoché tutti i raggi luminosi indipendentemente dalle condizioni esterne.
Ecco perché anche una piccola cataratta sottocapsulare posteriore può far vedere peggio di una cataratta cortico-nucleare anche avanzata ma omogenea.
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QUANDO SOTTOPORSI ALL'INTERVENTO
L'indicazione all'intervento chirurgico sarà sempre posta dall'oculista, alla fine di una visita approfondita riguardante tutte le strutture dell'occhio ed i principali parametri visivi.
La cataratta è tipicamente un intervento cosiddetto "di elezione", cioè non riveste solitamente alcun carattere d'urgenza.
Ciò vuol dire che il paziente può programmare l'intervento nei tempi a lui più favorevoli, sempre in accordo con l'oculista, senza che si generino ansie o preoccupazioni legate al tempo che passa; una cataratta può essere operata anche molti mesi dopo la diagnosi.
Va puntualizzato però che, seppur non frequentemente, può esserci una indicazione di urgenza ad un intervento per cataratta. Questo avviene se la cataratta è la causa di complicanze, come ad esempio un aumento della pressione oculare.
E' QUINDI L'OCULISTA CHE DECIDE I TEMPI DELL'INTERVENTO, OVVIAMENTE TENENDO CONTO DELLE ESIGENZE PERSONALI DEL PAZIENTE.
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COME VIENE ESEGUITO L'INTERVENTO DI CATARATTA ?
La storia dell'intervento di cataratta è lunga ed affascinante. Basti pensare che era già praticato presso gli antichi egizi.
Oggigiorno, all'intervento ormai classico di cataratta, praticato già da alcuni decenni e chiamato Estrazione Extracapsulare di Cataratta (ECCE) con impianto di cristallino artificiale rigido, si preferisce un nuovo tipo di approccio chirurgico.
Questo nuovo intervento è chiamato Facoemulsificazione del Cristallino (FACO), e sfrutta la potenza degli ultrasuoni.
In pratica, si sfrutta la capacità degli ultrasuoni di disgregare ed emulsionare il cristallino, senza peraltro minimamente danneggiare le strutture oculari circostanti.Una volta disgregate, le fibre del cristallino vengono aspirate.
Notevole è il fatto che lo strumento che applica gli ultrasuoni, che disgrega il cristallino catarattoso e lo aspira è costituito in pratica da una sonda spessa solo due millimetri. In pratica è simile ad un grosso ago.
Ciò comporta notevoli vantaggi:
- Minima invasività. Tutto l'intervento può essere eseguito tramite un forellino di tre millimetri (contro gli otto-dieci millimetri dell'intervento extracapsulare di cataratta); spesso non è necessario mettere alcun punto di sutura.
- Rapido recupero funzionale. Una incisione così sottile non danneggia l'occhio che può riprendere a vedere già alcune ore dopo l'intervento; la cicatrice residua è praticamente invisibile e non dà luogo ad astigmatismo postoperatorio (evenienza frequente dopo intervento di ECCE).
- Intervento molto ben tollerato. L'incisione così sottile permette di effettuare l'intervento spesso in anestesia topica, cioè ottenuta solo instillando alcune gocce di collirio, e senza ricorrere alle punture dell'anestesia locale.
Dopo la facoemulsificazione del cristallino, si inserisce il cristallino artificiale, che spesso attualmente non è più rigido, ma pieghevole.
Il cristallino artificiale pieghevole è realizzato con particolari materiali, tutti perfettamente compatibili con il corpo umano, che possiedono la proprietà di essere piegati in due oppure addirittura arrotolati su se stessi. Una volta all'interno dell'occhio, col calore del corpo umano il cristallino si distende riprendendo la sua forma originale.
Il vantaggio di questo sistema sta nel fatto che il cristallino può essere fatto passare attraverso lo stesso forellino usato per la facoemulsificazione, senza ricorrere ad altri tagli.
E' importante ritornare sulla totale innocuità dei materiali del cristallino, la cui durata all'interno dell'occhio è eterna.
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COSA ACCADE IN REALTA' AL PAZIENTE ?
L'intervento di facoemulsificazione viene eseguito in regime di day-hospital.
Ciò comporta una degenza giornaliera (quasi sempre solo di alcune ore) al termine delle quali il paziente può tornare tranquillamente a casa.
Tutta gli accetamenti propedeutici all'intervento, le visite specialistiche ed i controlli postoperatori si svolgono a livello ambulatoriale.
L'intervento di per sé non è particolarmente traumatizzante. Se l'oculista sceglie di effettuare l'anestesia locale si avverirà solo il leggero bruciore dell'anestetico appena iniettato. Se si sceglie l'anestesia topica, anche questo fastidio potrà essere evitato.
Tutto ciò che deve fare il paziente è guardare fisso nella luce del microscopio operatorio; questo vale soprattutto se si effettua anestesia topica, perché in tal caso il paziente può continuare a muovere l'occhio e deve quindi collaborare attivamente col chirurgo.
Con l'anestesia locale si può evitare questa collaborazione perché l'occhio viene anche immobilizzato dal farmaco.
Per il resto il paziente avvertirà sull'occhio solo sensazioni tattili (toccamenti, lavaggi, etc.) e il rumore della sonda faco, simile ad un sommesso sibilo.
Alla fine dell'intervento (che dura circa 10-15 minuti), il paziente esce dalla sala operatoria con l'occhio operato coperto da una benda.
Tale benda viene rimossa già alcune ore dopo l'intervento. La terapia postoperatoria è a base di colliri e di compresse (i primi giorni).
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QUALI SONO LE POSSIBILI COMPLICANZE ?
L'intervento di cataratta è un vero e proprio atto chirurgico, nonostante gli sforzi per renderlo breve, sicuro e molto ben tollerato.
Ciò vuol dire che, come tutti gli interventi, può presentare complicanze intraoperatorie e postoperatorie.
Diciamo subito che la frequenza di tali complicanze, in presenza di un chirurgo esperto o meglio ancora di un team di chirurghi, con l'uso delle più avanzate tecnologie ed usando materiali di prima qualità, è estremamente bassa.
Senza entrare nei dettagli, si può affermare che le principali complicanze sono di tipo infettivo, o legate a lesioni accidentali delle strutture oculari durante l'intervento.
Diverso completamente è il discorso della cosiddetta cataratta secondaria.
Essa non è una vera e propria cataratta (il cristallino naturale viene asportato durante l'intervento), ma una opacità cella capsula, la struttura entro cui viene posizionato il cristallino artificiale.
Tale opacizzazione avviene con una certa frequenza dopo l'intervento, ed è facilmente eliminabile.
Infatti tale opacità può essere eliminata mediante l'uso di un particolare laser detto Yag-LASER.
La procedura è assolutamente indolore, rapidissima, si esegue a livello ambulatoriale e l'occhio riprende subito a vedere.
Altre complicanze possono essere legate a particolari malattie dell'occhio o di tutto l'organismo (ad es. il diabete).
E' compito dell'oculista tenere in debito conto queste situazioni cliniche per minimizzare il rischio operatorio.
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